Il rigore dell’essere arbitro in aiuto di chi soffre

CRA Campania

Il rigore dell’essere arbitro in aiuto di chi soffreUn arbitro è tale fuori e dentro il terreno di gioco. Ancor di più quando c’è da salvare la vita delle persone.
Angeli con le ali, che in piena emergenza sanitaria, con serietà, umanità e senso del dovere, combattono in prima linea la tremenda pandemia del COVID-19, guardandolo in faccia senza mai indietreggiare.
Un nemico subdolo ed invisibile che sta obbligando medici, infermieri ed operatori sanitari ad interminate ore di lavoro ed a turni massacranti.
Ed allora non servono più scarpini, fischietto, visionature o filmati da spiegare, ma solo professionalità, rispetto, serietà e lucidità forgiata da una uguale passione per il calcio a cinque: questo passa ogni giorno, ogni istante, nella mente di due colleghi campani.
Alessandro Nota, associato della Sezione di Nocera Inferiore, inquadrato nell’organico regionale di calcio a cinque, svolge la professione di medico di base nella Val Seriana, ad Ardesio in provincia di Bergamo: “Le nostre sono giornate dure, si lavora anche per due” – racconta – “Ogni giorno ti armi di uno spirito che non pensavi di avere e vai a fare il tuo dovere. I giorni però sono sempre più pesanti e drammatici. Qui cadono come le foglie ed allora cominci a sperare davvero nell'esistenza di un Dio, perché è l'unica cosa che ti rimane. Sei triste, sulla strada di casa vedi quattro o cinque ambulanze che sfrecciano, una forse l'hai chiamata tu. Ma non ti abbatti, ti rialzi subito perché in questa fase bisogna essere anche da conforto”.
Nello stesso mare agitato naviga il Componente del Comitato Regionale Arbitri della Campania Antonio Gallo. Organo Tecnico di Alessandro ed infermiere presso l’Azienda Ospedaliera Federico II di Napoli: “C’è la paura, ma c’è anche la volontà di vivere. All’inizio il paziente è solo una cartella di dati. Solo in un secondo momento scopri la persona” – prosegue l’associato della Sezione di Torre Annunziata - “Li vedi passare in barella, fai un cenno con la mano e ti rispondono. Entri in contatto con loro nella parte contaminata del reparto: lì incontri e conosci le persone, cercano contatti umani, vogliono sapere che ne sarà di loro. Noi non potremmo intrattenerci. Ma come si fa a dirgli di no? Ci sediamo per qualche minuto, loro vedono solo i nostri occhi. Li ascoltiamo, li rassicuriamo, scambiamo qualche parola e poi ci allontaniamo. Fanno tanta tenerezza. Una donna mi disse che eravamo eroi. Ma con le lacrime agli occhi le risposi che i veri eroi sono loro perché soffrono senza lamentarsi. In una situazione del genere fortunatamente c’è anche l’incontenibile soddisfazione per chi riesce, chi vince, e può tornare a casa. Anche questa è la nostra gioia”.
Ed allora in piena burrasca, come diceva il grande Edoardo De Filippo: “Adda passà a nuttata”.

Supplemento on-line della rivista "L'Arbitro"
(aut. Tribunale di Roma n. 499 del 01/09/1989)
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